Di Bianca

Nel 1963, gli eventi non fanno altro che “legittimare” interventi ancora più massicci di Gladio. Il presidente Kennedy non nasconde le sue simpatie per la sinistra, spaventando e non poco l’establishment americano, direttivo CIA incluso, tanto da decidere di fronteggiare un’eventuale vittoria elettorale socialista senza consultare il presidente degli Stati Uniti. Nello stesso anno in Italia, il PCI acquista altri seggi, mentre la DC registra il suo risultato peggiore. Da quel momento, Gladio attiva tutte le sue forze, diventando presente in Italia come non mai.

Il culmine si raggiunge mesi dopo l’assassinio di Kennedy, avvenuto nel novembre dello stesso anno. Nel marzo 1964 Gladio tenta un vero e proprio colpo di Stato, chiamato “Piano Solo”, sotto le direttive di un tale Giovanni de Lorenzo, un massone che con il volere dell’allora ministro della difesa Andreotti era passato alla direzione dell’Arma dei Carabinieri dopo quella del SID (ovvero, il SIFAR che, per evitare scandali, aveva cambiato nome). L’intento era di far occupare dai gladiatori le sedi del governo, le sedi dei partiti di sinistra e i maggiori centri di informazioni (redazioni e centri radiotelesivi); rintracciare i dirigenti comunisti e socialisti, intellettuali ed esponenti importanti della sinistra; arrestarli e deportarli in Sardegna, presso Capo Marragiu, una delle basi segrete di Gladio.

Interviene allora il primo ministro Aldo Moro: a seguito di un incontro segreto con De Lorenzo e il presidente Segni, spinge i socialisti a ridimensionare le loro aspirazioni politiche, preferendo nelle liste candidati più “moderati” (cioè disposti ad obbedire a direttive che non fossero quelle di partito). I vertici socialisti non oppongono troppa resistenza: sanno quale sarebbe l’alternativa, un governo che Nenni (leader dei socialisti) descrive come di “estrema destra”, ma che possiamo tranquillamente definire made in USA.

Liste di proscrizione alla mano, anche Gladio rivede i suoi piani, incaricando de Lorenzo su ordine della CIA di monitorare gli esponenti politici italiani, riportando comportamenti sospetti, eventuali relazioni extraconiugali, abitudini potenzialmente scandalose ecc. Personalità di alto livello, ministri, imprenditori, perfino membri del Vaticano vengono perennemente controllati e ascoltati, per raccogliere materiale tale da portare a minacce, intimidazioni e ritorsioni. Uno spionaggio che farà muovere non meno di 150 000 persone, come ammetterà Andreotti all’interrogatorio nel 1990.

A metà anni Sessanta, nel pieno boom economico, Gladio continua con la sua operazione di destabilizzazione, portando avanti anche un piano di difesa del potere che si era costruita nel corso degli anni. L’idea che Gladio fosse l’arma agente della loggia P2 è tutt’altro che lontana dalla realtà, essendo quest’ultima la loggia incaricata di difendere la posizione atlantista dell’Italia. Il magistrato Libero Mancuso affermerà che “Il capo della “Gladio” statunitense Mike Sednaoui, vice capo della CIA a Roma, reclutava [i gladiatori] nella P2: se non si era della P2, difficilmente si dava quella garanzia di affidabilità richiesta”.

All’inizio degli anni Settanta, Gladio tenta un secondo colpo di Stato, denominato stavolta “Operazione Toradora” (in ricordo dell’attacco giapponese a Pearl Harbor). Il piano prevede l’attacco diretto delle navi da guerra statunitensi in vigile attesa nel mediterraneo, col rapimento finale del Presidente della Repubblica, Saragat. Ma la mattina dell’8 dicembre 1970 arriva la telefonata di un informatore anonimo, e il colpo, all’ultimo, non avviene. Il perché ad oggi è ancora sconosciuto. Quello che sappiamo è che chi riceve la chiamata, l’esecutore del mancato colpo di Stato del ‘70, è niente meno che Junio Valerio Borghese, il “principe nero”, ossia l’ex-comandante della Xª Flottiglia MAS diventato celebre per le sue imprese nel Mediterraneo durante la Seconda Guerra Mondiale. L’8 settembre del ‘43 Borghese è fra coloro che non tradiscono l’idea, continuando a combattere contro gli Alleati nella RSI. Viene spontaneo chiedersi dunque cosa ha portato Borghese a diventare uno dei primissimi membri di Gladio (e, ripetiamolo, uno dei pochi dichiaratamente fascisti dell’operazione, fra la stragrande maggioranza democristiani). Continuando a combattere contro i rossi, certo, ma sotto le direttive di quelli che erano stati i suoi acerrimi nemici durante il conflitto mondiale.

I partigiani, a guerra finita, riescono a catturare Borghese, e stanno per impiccarlo quando, proprio il 25 aprile del 1945, Borghese viene salvato dall’ultimo dalla sua esecuzione. Chi interferisce è l’ammiraglio statunitense Stone, amico di lunga data della famiglia Borghese, che ordina che Borghese venga scortato a Roma per essere processato. Verrà dichiarato non colpevole, e in cambio per aver avuto salva la vita a Borghese verrà proposto di far parte di un certo progetto degli Stati Uniti, con l’obiettivo comune di fermare il comunismo… Gladio, appunto.

Un’ulteriore svolta si ha nelle elezioni del ’72, in cui la DC arriva al 39% rispetto al 37% del PCI. E quando nel ’74 Ford diventa presidente dopo Nixon, Aldo Moro in veste di ministro degli esteri e il presidente Leone sono convocati a Washington, dove viene loro vietata ogni inclusione di politici di sinistra nel governo italiano, anche degli elementi più “moderati”. Ma le minacce e lo spionaggio di Gladio non bastano, e nelle elezioni del 1976 il PCI ottiene la percentuale più alta mai raggiunta: il 34,4% dei voti contro il 38% della DC. Una distanza maggiore rispetto a quella delle elezioni precedenti, ma con l’aggiunta del 9,6% del partito socialista, si arriva al 44% a favore della sinistra italiana. Aldo Moro, di fronte alla maggioranza rossa, non può che accettare il nuovo insediamento di governo, e viene meno all’imposizione di Washington. Come ben sappiamo, Aldo Moro troverà la sua fine nel maggio del 1978, per mano delle Brigate Rosse.

La Commissione che indagherà su Gladio e sulle stragi degli anni Settanta non escluderà la possibilità che anche Gladio abbia coordinato il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, usando le Brigate Rosse solo come agenti dell’omicidio, per allontanarsi dalle piste delle indagini. Questa non è che una delle numerose accuse mosse contro Gladio delle stragi degli Anni di Piombo, fra cui la più importante è indubbiamente la strage di Bologna, in cui durante le indagini si profila la possibilità che la bomba provenisse da uno degli arsenali di Gladio.

Alla fine degli anni Settanta, si inizia a delineare l’esistenza di un’operazione segreta che agisce secondo le direttive di un’organizzazione che supera il contesto italiano. Nel 1977, durante il processo contro Vito Miceli, ex-direttore del SID e tesserato alla loggia P2, lui stesso ammette che “c’è sempre stata una certa organizzazione nascosta, nota esclusivamente alle massime autorità dello Stato e coinvolta in attività che non hanno nulla a che vedere con la raccolta delle informazioni”. La Magistratura di fronte a queste dichiarazioni contatta il Presidente del Consiglio, ovvero lo stesso Andreotti, che senza sprecarsi in parole l’anno successivo risponde semplicemente che “un’organizzazione del genere non può esistere”.

È nel 1990 che la vicenda Gladio viene finalmente alla luce, durante l’indagine che il giudice Felice Casson aveva avviato per chiarire i depistaggi dei servizi segreti e delle forze dell’ordine sulla strage di Peteano.  Andreotti viene chiamato a rispondere in Parlamento, e pur ammettendo l’esistenza di Gladio, nega che l’operazione abbia mai interferito con l’esistenza democratica della Repubblica Italiana, essendo l’operazione nata allo scopo di impedire l’occupazione sovietica dell’Italia, che (guarda caso) non era mai avvenuta. Un’affermazione che però, col passare degli anni e col trascorrere delle indagini, verrà presto smentita.

Le indagini, però, procedono a fatica e a rilento. I documenti e i materiali raccolti durante i primi mesi vengono distrutti o perduti in più occasioni: in una in particolare, gli archivi dei servizi segreti vengono diligentemente liberati dalla (praticamente) totalità dei documenti o dei materiali che attestano l’esistenza di Gladio, a molti dei quali viene dato fuoco fra il 29 luglio e l’8 agosto del 1990. Questo proprio in occasione della consultazione dei documenti di archivio da parte del giudice Casson (il 27 luglio) e con l’interrogatorio di Andreotti in Parlamento (il 2 e 3 agosto). Successivamente sparisce anche la documentazione sul caso Moro.

Vengono alla luce collegamenti con le già citate stragi che hanno stravolto l’Italia degli anni Settanta del secolo scorso, gli omicidi di politici e magistrati, di esponenti di forze dell’ordine, e la lista si potrebbe allungare fino a includere tutti i morti degli Anni di Piombo. Ora come ora, Gladio è responsabile di tutte e nessuna.

Gladio è stata ufficialmente sciolta nel 1990, anno della scoperta della sua esistenza, dopo più di trent’anni in cui l’operazione era nota a pochissimi: alcuni politici, alcuni ufficiali dei servizi segreti e alla massoneria. Un capitolo nero della storia della Repubblica Italiana, che non si hanno ancora gli strumenti per definire chiuso… e se chiuso, lo è solo sotto il nome di “Gladio”.

Chiunque abbia un minimo di senso critico e di contestualizzazione degli eventi sa che chi governa in Italia non interessa solo agli italiani; anzi, a vedere dalla percentuale degli astenuti alle ultime elezioni, pare proprio che gli ultimi a cui interessi siano proprio gli italiani. Le basi militari statunitensi sul nostro territorio nazionale sono una dimostrazione sufficiente di quanto la nostra Nazione (non) sia libera. Un’evidenza che fa di chi ne parla il proverbiale complottista, come sostiene chi nega o riduce al minimo i collegamenti fra Italia e Stati Uniti, Europa e NATO; o addirittura lodandoli. Non esiste distinzione fra destra o sinistra, ma fra il totale disinteresse di chi è la terra su cui si vive e la pura malafede.

La questione Gladio può dirsi chiusa quindi? Rispondere potrebbe risultare non solo difficile, ma addirittura impossibile. Ad oggi, con il trionfo della globalizzazione (o dell’americanizzazione: oramai non sono più così distinguibili), è innegabile quanto gli USA siano onnipresenti nella nostra vita di tutti i giorni. Dai media che seguiamo ai social che visitiamo, dai vestiti che indossiamo a quello che mangiamo, dalla provenienza delle nostre risorse (presto anche quelle energetiche, con la scusa di far impoverire Putin) alle piattaforme di controllo dei nostri contenuti che ci garantiscono la nostra sicurezza, per proteggerci. Anche e soprattutto tutto questo è politica, anzi svela le scelte politiche di un popolo molto più di quanto possa fare un risultato elettorale.