di Sergio

Come ogni anno le comunità militanti romane ed italiane si sono ritrovate nel quadrilatero formato dai palazzi del quartiere Tuscolano di Roma, richiamati come la limatura di ferro da un magnete invisibile, che con la sua forza d’attrazione richiama sempre migliaia di persone anche dal resto d’Europa. Un magnete che attrae. Una forza che attraversa lo spazio e il tempo: avvicina e respinge allo stesso tempo.

Acca Larenzia: forza d’attrazione

Avvicina chi è sensibile alla vibrazione che quei muri promanano, muri che per un giorno diventano quelli di un tempio senza cupole o volte, ma che si veste dei colori di un cielo invernale brillante di pioggia. Respinge chi è insensibile a qualsiasi idea: chi non capisce, o peggio, chi sapendo si rifiuta di ammettere ciò che è successo il 7 gennaio di 46 anni fa tra quelle vie che richiamano i nomi arcaici di una Roma avvolta nel mistero aurorale della sua nascita: Numitore il Re, Amulio l’usurpatore, Evandro il precursore, Acca Larenzia la madre… Il silenzio assordante di chi ricorda, rotto solamente da tre grida lanciate al vento. Il rumore fastidioso di chi una volta all’anno si toglie ogni maschera per indossare il volto di un’Italia che odia i morti e non ha mai fatto i conti con una verità sconcertante: il Fascismo fu passione nazionale e non il progetto di qualche fantasiosa casta. Il Fascismo fu eroismo, partecipazione, sentimento popolare radicato nelle case, nei quartieri, nella gioventù. Il Fascismo è, appunto, presente nei cuori e nelle menti di molti più italiani di quanto vogliano ammettere i custodi di una pretestuosa costituzione che pur non si dichiara antifascista. Il Fascismo ha attraversato anni e generazioni, compresi quelli dove l’antifascismo era armato e sparava a vista verso due ragazzi appena usciti da una sezione politica. Gli stessi dove il piombo dei rossi si confondeva con quello degli sbirri e ammazzava senza pietà. Ci credevano. Sono morti assassinati: dai comunisti e dallo Stato.

Eroi e mercanti

Non sappiamo come sarebbe andata diversamente per Franco, Francesco e Stefano: potevano essere i nostri genitori, avrebbero potuto imbracciare anche loro le armi o forse sarebbero potuti essere normali lavoratori o, chissà… parlamentari. Sappiamo benissimo cosa sono diventati gli altri, se non direttamente chi ha sparato, almeno quelli che hanno costruito un’identità politica su un antifascismo di facciata che sul sangue sparso ha fatto fortuna, un antifascismo non meno pericoloso di quello che animava le formazioni più estremiste. Sono diventati liberali, progressisti, servi di un sistema valoriale occidentale che non è mai stato loro nemico ma sempre fedele alleato: vale ripeterlo, peggio dei comunisti ci sono solo i democratici. Quelli che ogni anno si ricordano che il 7 gennaio i Fascisti faranno i saluti romani ad Acca Larenzia. E come ogni anno la bile di borghesi, ignoranti e politici si riversa sul sangue di morti che però rappresentano non solo quello di una minoranza politica, ma quello di un popolo in armi che dal Risorgimento a Vittorio Veneto e Bir el Gobi ha tracciato una direzione rivoluzionaria per l’Italia e l’Europa sfidando quel “mondo vecchio di egoisti, di privilegiati, di conservatori, di capitalisti oppressori, di falliti sistemi , di superate ideologie, di dottrine ingannatrici, di falsi e bugiardi”. Ecco perché odiano così tanto Acca Larenzia. Se non fosse stato per lei i gemelli divini non avrebbero mai trovato la strada che lì avrebbe condotti a Roma, culla e patria di un’idea organica, aristocratica, eroica di civiltà che da millenni sfida quella del denaro. Scrisse Werner Sombart: “La questione più importante che si deve decidere, per le sorti dell’umanità, è quale spirito si rivelerà più forte: quello mercantile o quello eroico”.

I morti e i vivi

È una battaglia in divenire però. Permanente. Tra noi e loro. Tra noi e noi stessi. Perché “dove prevalgono la morale del mercante e la sete del benessere, là è il nemico”. La bile borghese che ogni anno si riversa sulla commemorazione di un intero popolo è naturale, quasi dovuta. Dovrebbe stupirci il contrario, quando il mondo non reagirà più al fragore che uomini e donne inquadrati in una comunione d’intenti possono suscitare. Sono parole opportuniste le loro. Parole che muovono dal terrore recondito di ritrovarsi ancora di fronte ragazzi giovani animati da un’idea forte e vitalista, che non chiede scusa e non vuole il permesso. Terrore dei “morti che restano nei ranghi e combattono insieme ai vivi”. Certo, ci chiediamo per quanto l’Italia potrà continuare ad alimentare questa invettiva intestina che non consacra alla storia i suoi protagonisti. Ma questo è sforzo intellettualistico che non ci compete. Ciò che ci spetta è la lotta. Silenzio allora. E poi di nuovo presente.

Blocco Studentesco