Di Enrico

Alzi la mano chi non ha mai sentito nominare (il più delle volte a sproposito) nel dibattito pubblico contemporaneo il termine “totalitarismo”. Se ne sente continuamente parlare; sia da parte di una certa sinistra che ad ogni piè sospinto grida al ritorno del fascismo, sia da parte di parte del centrodestra (che spesso e volentieri va dietro al centrosinistra), il quale a sua volta grida alla dittatura del pensiero citando sempre il totalitarismo, come esempio da portare a sostegno delle proprie tesi.

Ora, è verissimo che in questi ultimi tempi una certa ideologia politicamente corretta ha preso il sopravvento cercando di tappare la bocca a chi esprime opinioni impopolari e non si piega ai dogmi più assurdi del politicamente corretto ostinandosi a voler ragionare con la propria testa.

Un esempio su tutti, i fatti che hanno seguito la morte di George Floyd, quando una certa parte politica ha subito cercato di trasformarlo in un martire, ucciso per il semplice colore della sua pelle, accusando di razzismo o di voler giustificare l’omicidio, chiunque obiettasse ad esempio che Floyd al momento dell’arresto fosse sotto effetto di stupefacenti.

Un altro esempio? Il caso dell’afroamericana pro-Trump, Candace Owens, la quale è stata definita dagli antirazzisti di Black Lives Matters “house nigger” cioè “negra da cortile”, dopo aver dichiarato: “George Floyd non è il mio martire. Può essere il vostro, forse, ma non il mio”.

Detto tutto questo, da qui a parlare (quasi sempre a sproposito) di totalitarismo, è particolarmente fuorviante. Sarebbe più corretto dire che ci troviamo piuttosto, in una “democrazia” che ha un’idea molto “originale” di libertà. Una “democrazia” in cui “siamo tutti uguali, ma qualcuno è più uguale degli altri”, direbbe Orwell.

Ma è sbagliato anche in questo caso parlare di totalitarismo, principalmente per questo motivo: questo sistema politicamente corretto non ha neppure lontanamente i presupposti per essere un totalitarismo. In breve, chi oggi grida al totalitarismo, sia da una parte che dall’altra, non ha la più pallida idea di cosa esso sia realmente, né dal punto di vista ideale né dal punto di vista reale. L’obiettivo di questo articolo, infatti, è proprio questo: fare chiarezza sul concetto di totalitarismo.

Partiamo citando uno dei massimi filosofi italiani del Novecento:

“Per il fascista, tutto è nello stato, e nulla di umano o spirituale esiste, e tanto meno ha valore, fuori dello stato. In tal senso il fascismo è totalitario, e lo stato fascista, sintesi e unità di ogni valore, interpreta, sviluppa e potenzia tutta la vita del popolo”.

(Giovanni gentile, definizione di “Fascismo” per l’Enciclopedia Treccani)

Così Giovanni Gentile definì il Fascismo per l’Enciclopedia Treccani. E questa definizione potrebbe farci pensare che l’idea stessa di totalitarismo sia nata con il Fascismo, ma sarebbe una semplificazione brutale.

Prima di iniziare questo viaggio attraverso i modelli totalitari è necessario dare una definizione, appunto, del concetto di totalitarismo, il che già è piuttosto difficile. Come accenna Gentile, Il totalitarismo è basato sul principio cardine del primato dello Stato sull’individuo,l’idea che un individuo conta qualcosa ed ha un’utilità o un “senso” solo quando esso è inserito all’interno di una comunità, di uno Stato. Nulla di umano o spirituale ha valore al di fuori dello Stato. Questa concezione la troviamo per la prima volta nel primo testo di filosofia politica propriamente detto: la Repubblica di Platone.

Ed è proprio da Platone che parte l’analisi di questo concetto durante la storia. Nella Repubblica, troviamo infatti espliciti riferimenti a quello che sarà poi definito comunitarismo, all’anti-individualismo (l’individuo non ha alcun valore al di fuori dello Stato), al primato dello Stato e quindi del bene comune. Inoltre, Platone, nel descrivere la società ideale, di impronta fortemente gerarchica ed autoritaria, spiega come sia necessario che solo i migliori (un gruppo ristretto di persone quindi) governino poiché loro conoscono il Bene e quindi sono naturalmente predisposti a governare bene (o quanto meno nel migliore dei modi). Secondo Platone, la filosofia è la scienza del bene e coloro che la esercitano sono coloro che hanno il requisito fondamentale per governare bene, ovvero conoscere il bene.

Tuttavia, lo stesso Platone sempre nella Repubblica esprime anche un certo sdegno nei confronti della tirannide, secondo però l’accezione che gli antichi greci attribuivano a questo termine. Poiché il tiranno nella Grecia antica non governava in quanto “migliore”, non era dunque tra i filosofi che Platone considerava predestinati a governare, ma semplicemente era arrivato a governare in seguito ad una lunga attività politica nella “Polis”. Potremmo, per semplificare, dire che il tiranno era un “politicante” o un “professionista della politica”.

Da qui, per un lungo periodo di tempo, in filosofia non si parlerà più di idee di questo genere. Non circoleranno più idee totalitarie come quelle espresse da Platone nella “Repubblica”. Bisognerà aspettare la fine del Settecento e la presa del potere in Francia da parte di Napoleone Bonaparte.

Infatti, per lunghissimo tempo si hanno avuto quasi solo esempi di monarchie, dove però chi è al potere non governa in quanto “migliore” ma in quanto “scelto dal Signore”, oppure con il passare degli anni, sistemi più vicini alle moderne democrazie. Ad esempio, nel medioevo, in mancanza di una monarchia la politica si faceva di lotte senza tregua tra i Guelfi e i Ghibellini, dove se è vero che la fazione vincitrice di solito poi cacciava dalla città gli sconfitti e non consentiva in alcun modo l’esistenza di un’opposizione, si trattava comunque di una sorta di democrazia, seppur diverse da quelle contemporanee, si eleggevano o comunque si sorteggiavano (come a Firenze) i “priori” e i magistrati cittadini. Il nome originario di Palazzo Vecchio a Firenze era infatti “Palazzo dei Priori”, perché lì si riunivano i consigli cittadini e le varie commissioni e sottocommissioni. Tutte cose che presentano importanti analogie con le “democrazie” moderne.

Dicevamo dunque che è proprio alla fine del Settecento e poi soprattutto nel primissimo Ottocento che tornano in circolazione idee di tipo totalitario. Siamo in Francia nel 1799; Napoleone ha appena sciolto il Direttorio, facendo sgomberare dai granatieri la camera del Consiglio dei Cinquecento: è il colpo di stato del 18 Brumaio. L’obiettivo di Napoleone è di instaurare un regime che ponga fine ai disordini della Rivoluzione Francese, ma senza rinnegarne i valori fondamentali.

Questo progetto ha inevitabilmente un risvolto totalitario. Napoleone volle costruire una Società basata sui concetti di “Libertè” ed “Egalitè”, ma fondendoli e mettendoli in relazione alla sua figura e al suo ruolo (quello di Primo Console prima e quello di Imperatore dei Francesi poi). Nell’Impero di Napoleone “Libertè” ed “Egalitè” diventano la stessa cosa; libertà vuol dire che il cittadino non ha nessuno sopra di lui se non lo Stato. Ed uguaglianza vuol dire uguaglianza davanti alla legge, cioè lo Stato stesso. E l’Imperatore incarna la libertà e l’uguaglianza davanti alla legge. Ma questo nuovo regime è fondato sulla volontà popolare incarnata dall’Imperatore. Napoleone disse infatti a questo proposito: “Il primo dovere del Principe, è quello di fare ciò che vuole il popolo. Ma il popolo non sa quasi mai cosa vuole; io lo so invece. E lo do al popolo”.

Il regime di Napoleone è inoltre un modello di Stato fortemente meritocratico, in cui non è concepibile che un uomo ottenga una carica importante solo perché è figlio di qualcuno, come invece avveniva nell’Ancien Regime. D’altronde una delle massime più famose di Napoleone è: “Ogni soldato ha nello zaino un bastone da Maresciallo”. E non è solo propaganda, ma ha un riscontro effettivo nei fatti storici; è vero poi, pochissimi soldati diventavano Marescialli di Francia, ma molti diventavano ufficiali per esempio; è stato calcolato che circa i tre quarti degli ufficiali che hanno servito sotto Napoleone hanno iniziato come soldati semplici e hanno fatto carriera dalla gavetta.

Quindi l’Impero napoleonico era certamente un regime che può ricordare sotto certi aspetti il totalitarismo (il primato dello Stato, la meritocrazia e il governo dei migliori), ma con la convinzione di incarnare i valori della Rivoluzione Francese.

A questo poi si aggiunge l’idea di un Impero universale, che ha il dovere di ergersi sul mondo dominarlo. E vorrei qui citare quello che per lungo tempo è stato considerato l’ideologo dello Stato Totalitario nel senso moderno del termine; Georg Wilhelm Friedrich Hegel.

Nel 1806, alla vigilia della battaglia di Jena, Hegel vide Napoleone attraversare a cavallo la cittadina di Jena in mezzo alla folla festante che gridava: “Viva l’Imperatore”. E dopo aver visto da lontano l’Imperatore, Hegel scrisse in una lettera ad un amico in cui disse: “Ho visto l’Imperatore, questa anima del mondo, uscire dalla città per andare in ricognizione. In verità è una sensazione meravigliosa vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo si irradia sul mondo e lo domina”.

Napoleone è dunque per Hegel l’anima o lo spirito del mondo, incarna quindi il senso della storia. E il senso della storia si incarna nei grandi uomini come Napoleone.

Ci fu poi, dopo l’Impero di Napoleone un altro Imperatore cercò di attuare questo progetto, fu Napoleone III che però non fu in grado di scrivere la storia tanto quanto lo zio, ovviamente.

Come spesso accade alla fine di un’era come quella che fu quella di Napoleone, per molto tempo non nacquero altri progetti politici di questo genere, fino appunto alla nascita del Fascismo che come detto all’inizio, è la prima ideologia che si autodefinisce fin dal principio come totalitaria e punta ad esserlo.

Naturalmente il totalitarismo fascista presenta delle analogie, ma anche delle differenze con quello di Platone. Cambia soprattutto la concezione di coloro che non fanno parte dei migliori, ovvero il popolo. Secondo Platone ognuno deve rispettare ed attenersi al proprio ruolo, quindi i governanti devono governare mentre i lavoratori devono lavorare. Nel totalitarismo fascista invece, non si vogliono escludere le masse, anzi al contrario: il popolo deve partecipare attivamente alla vita politica della Nazione, pur non avendo direttamente potere decisionale. Il popolo può partecipare alla vita politica della Nazione, ad esempio, tramite il sistema corporativo.

Altri regimi che invece oggi comunemente si considerano totalitari, non vollero mai autodefinirsi tali, come fece il Fascismo. Ad esempio, il Nazionalsocialismo in Germania.

Il Nazionalsocialismo non si riconobbe nell’idea totalitaria.  Adolf Hitler si pose come il grande nemico del Comunismo e preferì che fosse proprio quest’ultimo (incarnato dal regime di Stalin) ad essere marchiato in quel modo, probabilmente fraintendendone la vera essenza. Nel “Mein Kampf” si propone come totale antagonista del Comunismo e quindi, in un certo senso, come difensore dell’individualismo occidentale che invece l’Unione Sovietica cercò di distruggere per costruire un sistema in cui l’individuo non esiste più e in cui l’uomo è ridotto a macchina.

Insomma, il tema è molto complesso e di certo non è semplice trovare una definizione univoca ma una cosa rimane evidente: tutti coloro che, oggi, gridano al totalitarismo in ogni possibile occasione, il più delle volte non hanno la più pallida idea di cosa voglia dire realmente. Probabilmente però è solo una conseguenza di quel brutto vizio, tipico del mondo moderno, di voler aprire la bocca anche su argomenti che non si conoscono pensando invece di apparire come persone di gran cultura sparando paroloni altisonanti sperando che l’interlocutore li conosca ancor meno.