La Montagna: baluardo di libertà ai tempi del Covid

Di Cerotto

il Covid non ci voleva, no, non ci voleva proprio, un’umanità già dilaniata da “paure” e sconforti di ogni tipo, afflitta da una rassegnazione quasi naturale, in altre parole un’umanità perdente e sconfitta già in partenza; la crisi sanitaria conseguita dalla forte instabilità sociale sta certamente giocando un ruolo decisivo sul destino di migliaia di persone.

Potremmo liquidare la questione parlando di una “partita persa” oppure di un fallimento, se non fosse che parliamo di qualcosa che questo mondo, ormai quasi privo di spiritualità, ci costringe ad obliare: la nostra stessa vita.

Essa non si ferma e il tempo perso non ritornerà più. Poeti, scrittori, e guerrieri di secoli ormai lontani ci ricordano l’importanza di conservare una vita “pura” e “retta” ma soprattutto vissuta nell’essenza.

Tragico è, invece, il rapporto che oggi siamo portati ad avere con essa, evidente nelle strade delle nostre città, nei posti di lavoro, nelle scuole, nel confronto tra colleghi o amici.

In un momento dove stringere i denti, vivere oltre tutto e contro tutto, era necessario fosse all’ordine del giorno per “sopravvivere”, si è preferito uccidersi moralmente quanto fisicamente, deprimendosi talvolta di fronte a qualche serie tv, immaginando il mondo esterno alle quattro mura domestiche che ricordano molto più una prigione piuttosto di una “protezione.”

In questa condizione Orwelliana di cui non serve parlare ulteriormente, c’è qualcosa di ancora vivo, qualcosa che ancora liberamente respira.

In un periodo in cui il Covid ha vincolato le nostre esistenze, la Montagna, come entità soprannaturale, spirituale, religiosa, e mistica, nella sua essenza e grandezza ha conservato in sé il frutto della libertà per l’uomo.

La montagna rappresenta oggi più che mai il baluardo di libertà contro un mondo piatto, infimo e vile.

“Essa si lega invece a qualcosa, che non ha principio né fine e che, conquista spirituale inalienabile, fa ormai parte della propria natura, come qualcosa che si porta con sé ovunque a dare un nuovo senso a qualsiasi azione, a qualsiasi esperienza, a qualsiasi lotta della vita quotidiana.”

In queste righe tratte dal libro Meditazione delle Vette, l’immenso Evola spiega come la Montagna sia qualcosa di eternamente vivo, da scoprire prima di poter conoscere; un luogo da frequentare a cui dare sempre del Lei, un’entità con la quale creare un rapporto mistico-spirituale che aiuta l’uomo ad affrontare fatiche, dolori e gioie di ogni singolo giorno vissuto nella società ultra-civilizzata.

Evola, negli anni venti/trenta abbracciò l’alpinismo audace che oggi malamente viene detto “estremo”;

“Sentirsi lasciati a sé stessi, senza aiuto, senza scampo, vestiti soltanto della propria forza e della propria debolezza, senz’altro che sé a cui chiedere, e portarsi di roccia in roccia, di appiglio in appiglio, inflessibilmente, per ore, e il senso dell’altezza e del pericolo imminente, inebriante, e il senso della solitudine solare, e il senso di indicibile liberazione e di respiro cosmico alla fine, all’attingere le vette…”

Il rapporto di Evola con l’alpinismo è una lotta continua per superare sé stessi, si tratta di un approccio elitario e aristocratico nella forma più profonda, uno spirito eroico che sfida in prima persona le difficoltà ma allo stesso tempo apprezza e ammira pienamente le eterne bellezze della vita e del mondo.

Egli spiega come questa visione dell’alpinismo e di contatto con la montagna non abbiano niente a che vedere con la classica definizione di “sport montano”, anzi, esprime più volte la sua contrarietà al vincolare tutto in “gioco”, o in una competizione, così sminuendo il vero senso profondo dell’Io solo con la montagna, che annulla tutto ciò che è macchina o artificiale.

Ed ecco che questo ritorna perfettamente nella tragica situazione alla quale sopravviviamo oggi.

É vero, molta gente ha ricominciato a frequentare le zone montane, ma come sosterrebbe Evola, non con lo stesso senso profondo che dovrebbe motivare ed essere alla base di questa “avventura”.

La montagna, prima arma per sopprimere l’Io borghese insito inconsciamente in noi, colei che abolisce la sconfitta morale di un mondo che ha scelto di sguazzare in tutto ciò che è piccolo e meschino perché troppo debole per affrontare una così grande battaglia personale contro sé stessi, torni ad essere la base sulla quale elevarsi alla vita quotidiana.

Per una vittoria più grande.