Di Rocco

«Il calcio è di chi lo ama», recitava così uno degli slogan più famosi della Lega Serie A, ma attualmente, quanto può ritenersi ancora veritiera questa affermazione? Per quanto riguarda la stagione in corso, chi vuole seguire il calcio nostrano, così come quello estero ed europeo (Champions League, Europa League e la neonata Conference League), deve abbonarsi a due diverse Pay-Tv, cioè Sky e DAZN.

Sì, perché la piattaforma streaming quest’anno, per la prima volta, ha acquisito i diritti televisivi della Serie A, che offre insieme al campionato minore di Serie B a €29,99 mensili. Sky, invece, si è dovuta “accontentare” della Premier League, Bundesliga, League 1, tre partite a settimana di Serie A, le tre competizioni europee e anch’essa la Serie B, il tutto a €40,48 al mese, ciò ne consegue che, per seguire a fondo la propria squadra del cuore, il costo può ammontare fino alla “modica” cifra di €70 mensili.

Per assistere dal vivo alle partite invece, la situazione non è tanto migliore. Tralasciando le ultime notizie che raccontavano di come per assistere al secondo debutto di Cristiano Ronaldo con la maglia del Manchester United i biglietti arrivassero al costo €3000 e limitandosi a guardare solo in casa nostra, i prezzi per assistere alle gare di Champions League (ad esempio) partono da prezzi che oscillano tra i €70 e i €95 per i settori popolari.

Tutto ciò ha portato inevitabilmente tanti tifosi ad allontanarsi dalle proprie squadre, da un lato favorendo la diffusione delle Tv pirata per risparmiare sui prezzi folli delle Pay-Tv, e dall’altro svuotando gli stadi, perché una famiglia di quattro persone per andare a seguire la partita dal vivo rischia di spendere fino €350.

Come se ciò non bastasse, la perversa logica del mercato ha portato ai campionati-spezzatino, con le partite che si disputano dal venerdì al lunedì. Ai più nostalgici verrà, di certo, in mente il testo della celebre canzone di Rita Pavone, “La partita di pallone”: «Perché, perché? La domenica mi lasci sempre sola, per andare a vedere la partita di pallone…», che rimane ormai solo uno sbiadito ricordo.

Non essendo vecchi reazionari che maledicono ciecamente la modernità, occorre però fare anche un altro tipo di riflessione, accettiamo che i tempi cambiano, la società si evolve e inevitabilmente il calcio di pari passo, ma che fine ha fatto quel ricordo? Davvero non sarebbe stato possibile portarsi dietro lo spirito durante il corso dell’evoluzione?

Come si è potuti passare da uno sport in cui c’erano ancora le “bandiere”, i calciatori non erano avidi “mercenari” (visto il contesto ci permettiamo la licenza poetica, nonostante l’approfondimento sul tema mercenariato svolto in passato spieghi che nella realtà fu esattamente l’opposto – n.d.r.); ma sudavano e lottavano per la propria maglia, spesso e volentieri con look caratteristici, rimasti iconici nel tempo, il tifo era vero e genuinamente scorretto, fatto di sfottò, goliardia e interminabili code ai botteghini, che diventava momento di aggregazione e unione di una nazione intera a quello di oggi?

In nome della logica del profitto, tutti quei valori sacri per ogni appassionato stanno scemando in uno sport controllato da spietati procuratori, sceicchi vari e potentissime società. Non a caso, uno degli eventi che ha suscitato più clamore negli ultimi mesi è stato il tentativo di creazione di una fantomatica “Superlega”, in cui le squadre più ricche lo sarebbero diventate ancor di più, distruggendo i campionati nazionali e lasciando le briciole ai club minori. Ciò su cui si basa questo gioco è altro, sono il coraggio e la voglia di combattere fino all’ultimo per lo stemma indossato sul petto, quindi, le imprese che diventano possibili grazie al valore e non al guadagno, facendo dello sport di squadra una metafora di vita.

Come se non bastasse, ci siamo anche dovuti sorbire la noiosa e sterile politicizzazione in salsa LGBT e Black Lives Matter nonostante quando era comodo un altro celebre slogan era «fuori la politica dagli stadi». Infatti, ad EURO2020 molte squadre hanno deciso di piegarsi a queste logiche inginocchiandosi prima del fischio d’inizio e indossando le fasce arcobaleno. C’è però anche chi non si è inginocchiato, chi non si è arreso, ed è stato logicamente travolto dai media e da tutta la cerchia progressista con i soliti epiteti di razzisti, omofobi e fascisti, come ad esempio la malvagia Ungheria di Orban; per altro unico Paese ad autorizzare la capienza degli stadi al 100%, non riscontrando temibili aumenti di casi di Covid-19, ma anzi, dando lezioni di tifo e comportamento, in barba a molti altri, tra cui, su tutti, la Germania che ha sfoggiato, proprio contro i magiari, una ridicola messa in scena con lo stadio illuminato di arcobaleno, bandiere e invasioni di campo con vessilli LGBT.

I tifosi oggi vivono un totale disinnamoramento perché, soprattutto quelli delle curve, non sono più intesi come vera e propria parte della squadra, il famoso dodicesimo uomo in campo, ma come consumatori, seduti e ammaestrati, cavie di esperimenti di controllo sociale che ogni weekend sono sottoposti ai più assurdi e infimi provvedimenti, rischiando il D.A.SPO. persino per un cambio di posto.

Il calcio, così come ogni altro sport, deve tornare di chi lo ama veramente e quest’estate è stata un ottimo primo tassello per il riavvicinamento di tutto il movimento sportivo italiano. Una stagione che ha regalato grandi gioie e trionfi. La fiumana di gente che si è riversata in festa per le strade colorate di azzurro, ha risvegliato in tutti, anche chi spesso lo dimentica, un certo amor di Patria, generando un discreto fastidio in chi ci vorrebbe un popolo sempre in conflitto, disgregato e disunito. Abbiamo affollato le strade, corso e cantato, molte volte nel modo esuberante che ci contraddistingue, per un attimo ci siamo liberati dal nodo che ci stringe la gola da quasi due anni.

Proprio per questo, lo sport in generale, ma il calcio per primo, può e deve essere uno dei principali veicoli per far sì che tutto ciò non si ripeta casualmente, ma che sia sempre vivo in noi.