Di Elena

Nel 2023, molti europei si sono sfortunatamente abituati a odiare l’Europa perché tendono a concepirla solo dal punto di vista politico e amministrativo quindi confondendola con l’Unione Europea. Quello che dimenticano è che però l’Europa è anche un continente abitato da un insieme di popoli fratelli che per un certo periodo storico si sono trovati sulla vetta del mondo. Mentre ammiravano i loro sconfinati possedimenti e le loro innumerevoli scoperte (che non si limitavano al campo geografico), hanno anche avuto modo di resettare il modo di pensare di tante altre culture. Non spetta a noi posteri giudicare saccentemente e cinicamente l’operato dei nostri antenati. Il bene e il male sono concetti relativi e culturali. Non possiamo applicare parametri odierni mentre riflettiamo sul quindicesimo secolo. Quello che possiamo fare è ammirare la visione di grandi uomini, la capacità di tante nazioni di ampliare i propri orizzonti in maniera intelligente, tanto da formattare la capacità argomentativa di altri popoli senza la necessità di sottometterli con le armi.

Certo le tecniche utilizzate in epoca moderna non sono nate di punto in bianco con la fine del Medioevo. La storiografia romana e greca rappresenta un buon punto di partenza. I romani in primis erano capaci, nonostante la loro fama di guerrieri sanguinari, di annettere altre popolazioni passando per vie più moderate, quindi introducendo le amministrazioni romane. Gli umanisti italiani se lo ricordano bene e non mancano di esaltarne ingegno e gesta quando pensano all’uomo contemporaneo. Così fa anche Machiavelli che dà consigli ai principi nella sua opera più famosa.

La storiografia europea, tanto era elaborata e importante, che è riuscita a pervadere e influenzare anche il modo di concepire la storia di altre culture. Possiamo fare l’esempio dell’America latina quindi del Messico. I conquistadores non erano gli unici europei presenti su suolo americano, con loro c’erano anche i missionari (principalmente domenicani e francescani). Questi, con l’obiettivo di diffondere la fede della salvezza oltre oceano, studiano le popolazioni locali, erroneamente considerate da molti di loro primitive. Le relazioni che vengono redatte alla fine degli studi di questi antropologi ante litteram, sono redatte da meticci. I meticci non erano altro che figli di conquistadores e membri dell’élite indigene. Questi giovani uomini recavano in sé la storia locale, ma anche la sapienza ordinata del vecchio continente. Formatosi come giovani europei, conoscevano la scrittura ed erano quindi involontariamente portati a caratterizzare il mondo secondo le logiche europei. Essendo padroni della scrittura e non avendo gli indigeni una vera tecnica che gli permettesse di conservare la memoria del passato; i meticci finiscono per plasmare definitivamente la storia dei popoli indigeni. Nascono dei codici pittorici (quindi che utilizzano l’immagine come forma comunicativa tipica degli indios), che però tralasciano aspetti tipici della vita preispanica. Non si parla di idolatria, né di sacrifici umani: tutti elementi disturbanti per un pubblico europeo. Nel giro di qualche tempo anche la concezione circolare della storia svanisce in funzione della tipica linearità spagnola. Ancora oggi le popolazioni sudamericane sono celebri per il loro coinvolgimento religioso, tanto è permeato.

Un altro esempio di come la storiografia di matrice europea sia stata pervasiva, sono i libri di storia cinesi del diciannovesimo secolo. Persino un paese tanto distante geograficamente e culturalmente lontano da noi come la Cina, ha adottato un punto di vista eurocentrico nel raccontare la storia. La fama culturale europea era talmente grande, che non serviva conquistare per dettare le linee.

Uno dei pochi paesi a non subire l’influenza europea è l’autarchico Giappone, rimasto lontano dalle logiche di conquista e indottrinamento europeo, tanto è vero che in epoca moderna erano soliti concedere l’esportazione ma non l’importazione.

Tuttavia, questo modo di pensare così condiviso dagli storici e umanisti europei amanti dell’antichità, ha dei nemici in casa. C’è infatti chi è convinto che l’Europa non sia stata in grado di capire l’essenza di altri popoli, tanto era concentrata alla conquista totale. Bartolomé De Las Casas è un celebre esempio di questa corrente. Egli era concentrato in particolar modo sullo studio degli indios e delle popolazioni africane, tramite le informazioni pervenutegli dai missionari. Era convinto che questi fossero dei popoli a tutti gli effetti civilizzati. Civiltà non coincide con fede in Dio, né con linearità temporale. Non dipende dalla scrittura né dal culto, ma dall’inurbamento che presuppone organizzazione amministrativa e politica. Gli europei, a detta di Las Casas, erano a tal punto narcisisti da vedere in sé stessi l’unica evoluzione civile possibile, come confermerà più avanti Hegel. L’errore dipendeva dai greci e dai romani e dal culto che gli europei provavano nei loro confronti. L’ossessione per la perfezione del classico e la volontà di riprodurlo nella contemporaneità, così da creare un legame tangibile seppur utopistico con i tempi che furono. Questo atteggiamento di superiorità porta alla distruzione e all’annientamento dell’altro, gettando via ogni possibilità di crescita comune con i nuovi annessi. È vero che molti conquistadores propendevano per la distruzione e ricostruzione, servendosi degli indios solo come manodopera. Non hanno versato troppe lacrime quando le epidemie europee hanno decimato gli indigeni, seppure questo voleva significare che il lavoro avrebbe rallentato. I regnanti spagnoli stilarono invece una lista dei possibili motivi dietro l’estinzione degli indios.

Il punto che qui si vuole trattare però esula da questo. Re-impariamo a pensare l’Europa come la vetta del mondo che per millenni è stata, invece che come quell’apparato burocratico e finanziario che ci opprime.