di Cippa

Ci ritroviamo con un ennesimo gigante della letteratura: Ludovico Ariosto. Tra le sue opere la più celebre è l’Orlando Furioso, un testo che di dovere abbiamo tutti studiato a scuola ma che, come tutti i grandi classici, è finito sui nostri banchi per dei motivi che andrebbero apprezzati con una lettura autonoma. La storia dei valorosi cavalieri protagonisti del Poema scorre, per quanto si tratti di un testo cinquecentesco, in modo del tutto comprensibile e gradevole anche alle nostre orecchie.

Il testo ovviamente narra del Paladino Orlando, della bella Angelica, dei progenitori della casa d’Este, della guerra tra Saraceni e Cristiani, tuttavia parla anche di qualcosa di più. Argomenti principi di questo testo sono quelli dell’ironia e delle differenze tra illusione e realtà. Infatti non dobbiamo dimenticare che è sì un poema cavalleresco, ma è stato scritto nel Rinascimento. Il nostro Autore voleva portarci una visione dell’essere umano dei suoi tempi che parlasse a trecentosessanta gradi di esso. Ovviamente, come sempre, le chiavi di lettura di un testo sono a “livelli”, non dobbiamo ossessionarci nella ricerca dei significati profondi in una narrazione lasciando da parte il gusto per una storia bellissima e artisticamente elevatissima.

In effetti anche solo leggendolo senza studiarlo, questo testo ci fa capire molte cose che l’autore stesso scrive in maniera chiara. Si pensi all’ironia che non è un elemento oscuro o nascosto ma ben esplicitato da Ludovico Ariosto in molti punti del testo: come ad esempio nel primo canto quando definisce Ippolito d’Este, suo mecenate, uomo molto occupato da “alti pensieri“; così come, poco dopo mette in dubbio, senza particolari giri di parole, la verginità propugnata da Angelica con Sacripante: Ella gli rende conto pienamente/…./e che ‘l fior virginal così avea salvo,/come se lo portò dal materno alvo/ forse era ver, ma non però credibile“. Insomma il testo parla da sè, senza un necessario lavoro di analisi estrema che snaturi da una piacevole lettura.

Noi tutti dobbiamo immedesimarci in quello che i personaggi rappresentano, gli infiniti intrecci che si diramano nel corso dell’opera di Ariosto sono un’ ottima rappresentazione delle nostre vite di tutti i giorni, delle metafore delle nostre difficoltà e peripezie quotidiane. Nascendo cinquecento anni dopo è opportuno comprendere in che cosa quello che scrive l’Autore possa concretizzarsi oggi: un esempio potrebbe essere il Castello di Atlante. Una grande illusione di un mago dove i Cavalieri vagano per immensi saloni e corridoi tutti vicini al loro oggetto del desiderio, in realtà un illusione creata ad hoc per rinchiuderli nelle trame stesse del loro destino: il costante tentativo di raggiungere l’inarrivabile.

Pensiamo a quante illusioni ci propongono al giorno d’oggi: ce le creano e ce le fanno rincorrere. Molti vivono nella costante ricerca del raggiungimento di questi desideri che esistono solo virtualmente: ormai spesso non sono nemmeno immagini, idoli e rappresentazioni di  cose esistenti, solo pura finzione. Tutti quei cavalieri ingannati da immagini sono tremendamente simili ai milioni di persone che vivono incollate agli schermi e perdono coscienza della realtà

D’altra parte l’Ariosto ci pone di fronte alla problematica della perfezione dell’eroe con la sua ironia. Pensiamo alla follia di Orlando, grottesca, bestiale, comica: non abbiamo davanti un eroe perfetto per i canoni cavallereschi, lo capiamo dalla spoliazione dell’armatura, l’abbassamento ferino che lo porta a non riconoscere nemmeno la bella Angelica in questo stato di incoscienza furibonda. Ludovico Ariosto vuole rammentare ai suoi lettori che gli eroi medievali, i grandi cavalieri non erano perfetti: erano uomini come noi.

Tutti dobbiamo fare i conti con la nostra condizione di esseri umani, cercare di non sfociare in folli bestie per delle illusioni o dei desideri irraggiungibili. Ariosto vuole ricordarci di tenere i piedi per terra, non far finire i nostri senni sulla Luna: oggi più che mai dobbiamo guardarci dalle illusioni, dagli incantesimi che ci fanno vagare senza meta e concretezza, dai desideri irraggiungibili che ci fanno perdere il senno.