Di Jean
Primo marzo 1968. A Roma circa 4000 giovani, per lo più studenti universitari, si ritrovano in Piazza di Spagna dando vita successivamente ad un corteo con metà Valle Giulia. Qui ha sede la facoltà di architettura dell’ università “La Sapienza”, sgomberata il giorno prima dopo diversi giorni di occupazione. È il 1968, l’anno della contestazione giovanile. Oltreoceano numerosi atenei vengono occupati e qualche mese prima a Trento fu occupata la facoltà di sociologia. Occupazioni che sempre trovano l’opposizione dei rettori che preoccupati chiamano le forze dell’ordine per respingere gli occupanti. L’ obiettivo degli studenti diretti a Valle Giulia è chiaro: riprendersi la facoltà sgomberata e dimostrare che una nuova gioventù pronta a lottare sta emergendo anche in Italia. Lo Stato, la borghesia, il vecchio ordine contro il quale la gioventù si rivolta schiera il suo esercito fatto di centinaia di agenti in tenuta antisommossa, in molti casi coetanei di chi sta dall’altra parte della barricata. Ne conseguono pesanti scontri che mettono in seria difficoltà i celerini: più di cento rimarranno feriti. Dopo ore di tafferugli i battaglioni della celere cedono e gli studenti, tra i quali si contano quasi cinquecento feriti e oltre duecento fermi, occupano la facoltà di architettura.
Quella calda mattinata di fine inverno passerà alla storia come la “Battaglia di Valle Giulia”, uno dei più importanti eventi del sessantotto italiano.
Pensare oggi a quest’anno ci fa venire alla memoria le oceanici cortei femministi, le lotte operaie di una sinistra che oltre a parlare di lotta di classe iniziava a prestare attenzione anche a diritti civili quali aborto e divorzio. Nel resto nel corso del 1968 la sinistra in piazza era egemone anche laddove non si parlava di rivoluzione proletaria. Manifestazioni come quelle per il libero aborto vedevano quasi sempre la presenza di bandiere rosse con la falce ed il martello, stesso vessillo sovente sventolato dalle facoltà occupate.
Oltre alle piazze tinte di rosso gremite di giovani comunisti, ci fu anche un sessantotto diverso fatto di una gioventù che mai si lasciò abbagliare dalle utopie marxiste. I ragazzi della Giovane Italia , del FUAN, di Avanguardia Nazionale non avevano come eroi i liberatori sovietici dell’Armata Rossa o gli assassini partigiani. Al contrario vedevano come esempio i ragazzi che a Berlino fino all’ultimo difesero l’Europa o i loro coetanei che solo dodici anni prima si sacrificarono alle barricate di Budapest. Dai libri di Evola e di Nietzsche avevano dedotto che quella falsa ribellione rissa altro non era che l’altra faccia dell’ordine vigente. Lo stesso spirito materialista, antifascista e perbenista dei padri padroni borghesi infestava gli animi dei figli che in piazza brandivano la bandiera rossa. Sprezzavano la democrazia antifascista figlia del tradimento e dell’odio partigiano, la mediocrità consumista piccolo-borghese del boom economico. Sovente entravano in conflitto con gli anziani del partito, molti dei quali reduci della Repubblica Sociale, che accusavano i giovani di essere troppo ribelli e poco inclini a rispettare l’ordine. Non era raro che la destra missina, numericamente superiore alla cosiddetta “sinistra missina” rappresentata da Pino Rauti, redarguisse i giovani per gli scontri in piazza. Non era infatti tollerato per un partito tutore dell’ordine e difensore delle forze armate avere in seno una gioventù che ingaggiasse lo scontro con la celere.
Anche loro c’erano a Valle Giulia. Quella mattina di marzo centinaia di giovani camerati marciavano insieme ai compagni e si scontravano coi poliziotti. Fu proprio il leader di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie a guidare le cariche contro i celerini guadagnandosi così la stima dei compagni. Qualche giorno dopo poi, vi fu l’apoteosi. I ragazzi del FUAN non solo disobbedirono alla richiesta del rettore di sgomberare l’occupazione ma occuparono a loro volta la facoltà di giurisprudenza. Coloro che da sinistra erano visti da sempre come i “cani da guardia del padrone” ora occupavano.
Si scaldarono gli animi dei conservatori missini. L’allora segretario Arturo Michelini che non si limitò a rimproverare i camerati anzi ordinò una spedizione per sgomberare l’ateneo, compresa l’occupazione dei camerati. Il 16 marzo più di 200 militanti del Movimento Sociale guidati da Giorgio Almirante marciarono verso La Sapienza occupata e si scontrarono veementemente con gli occupanti. I tafferugli sancirono la vittoria degli spedizionieri missini: i rossi furono scacciati e le facoltà occupate sgomberate. Fu ripristinato l’ordine. Quei giovani fascisti speranzosi di partecipare anch’essi alla contestazione giovanile diffusa e magari impedirne la degenerazione in una rivoluzione comunista, si ritrovavano ora abbandonati dal loro stesso partito. Nel corso del 1968 e negli anni a venire la sinistra divenne egemone tra i giovani ribelli. A destra la frattura tra il Movimento Sociale e il Fronte della Gioventù si accentuò notevolmente dopo i fatti di Valle Giulia. I fatti negli anni settanta segnarono un’ulteriore rottura con partito. Dopo il giovedì nero milanese, quando un agente rimase ucciso da una granata esplosa durante un corteo missino e le successive taglie di Almirante per trovare i colpevoli, molti furono i ragazzi che abbandonano il partito una volta per tutte. Altri ancora abbandonarono quando il partito , sempre dalla parte delle forze dell’ordine, non riconobbe le responsabilità di queste ultime nell’ omicidio di Stefano Recchioni avvenuto la sera del 7 gennaio 1978 ormai delusi dalla destra missina.
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